*L’immagine non è tratta dall’articolo.
di Massimo Formica
Può un’ azienda definirsi grande, quando tutto il suo profitto si regge sulla contrazione del costo del lavoro? La domanda è per Marchionne, l’ uomo che ha tutta Confindustria dietro di sé, uno che da solo sta facendo più danni alla cultura sindacale (merce rara, sono d’accordo, ma qualche sindacalista coscienzioso ancora c’è) ed alla difesa dei diritti dei lavoratori, di dieci marce dei “quarantamila”. All’ ultimo incontro con i sindacati, l’ AD FIAT, l’ ha detto chiaramente: “Le parole, per quanto interessanti, non servono a lavorare e a produrre. Per questo vorrei essere estremamente chiaro e diretto con voi oggi. C’è solo una cosa su cui è necessario pronunciarsi. Ed è decidere se vogliamo aggiornare il nostro modo di produrre oppure rimanere tagliati fuori dalle regole della competizione internazionale. Dobbiamo decidere se avere una forte industria dell’auto in Italia oppure lasciare questa prerogativa ad altri Paesi. Non servono fiumi di parole per questo. Ci sono solo due parole che, al punto in cui siamo, richiedono di essere pronunciate. Una è ’sì’, l’altra è ‘no’”. Arroganza da Armageddon. Perché la verità è che chi sta tirando la corda siede dalla parte “buona” del Tavolo. Non lo scriviamo noi, ma l’ entusiasta Alberto Orioli, dalle colonne de “il Sole24ore”: “La newco di Pomigliano diventerà uno stabilimento di frontiera anche per le relazioni industriali del futuro [...] Marchionne ha imposto nel mercato dell’ auto italiano a tutti di adattarsi alla globalizzazione [...] non c’è più l’ azienda che baratta l’ attenzione al sindacato con la pace sociale [...] si deve agire secondo regole che sono le normali regole del lavoro nel mondo: semplicemente l’ obbligazione tra chi percepisce una retribuzione e deve garantire con continuità e puntualità e regolarità una prestazione in forma di fatica o di ingegno. Tutto qui. [...] E’ un bene che la spallata del manager FIAT si sia rivelata, alla fine, sollecitazione a rivitalizzare l’ aria. Tanto più ora che l’ architettura delle relazioni industriali in Italia è stata appena ritoccata nell’ ultimo accordo interconfederale che vede ancora contraria la CGIL. [...] Quando da Confindustria è partita quella spinta, non tutti ne hanno compresa la potenzialità riformista: ora ne appaiono più chiare le ragioni”. Qui termina la dichiarazione di guerra. Perché di questo si tratta. Perché gli industriali, per penna di Orioli, ci dicono che Pomigliano è il modello delle future relazioni industriali; che i sindacati la devono finire di “aizzare” i lavoratori; che bisogna lavorare e zitti; che chi lavora con fatica non ha ingegno per capire le cose e ci pensa Orioli a spiegargliele; che l’ azione di Marchionne è una spallata di tutta confindustria: L’ Italia se vuole essere competitiva deve diventare come la Cina, non il contrario. E così mentre la sinistra per bene va a L’ Aquila, ad aggiungere macerie a macerie, e la sinistra antagonista discute se effettivamente si stiano o meno avverando le profezie marxiane sulla pauperizzazione del ceto medio e se i ragazzi dei rave possano o no costituire una nuova base rivoluzionaria, nell’ indifferenza generale, nel bel mezzo della Soap Fini-Berlusconi, i lavoratori dipendenti italiani si avviano a perdere ogni minimo diritto, con un atteggiamento grottescamente fatalista. “One goal, one team, one vision”, questa scritta campeggiava ieri sulle tute blu degli operai della Crysler-Fiat, durante la visita di Obama e Marchionne allo stabilimento americano. Questa visione del lavoro è quanto vorrebbero imporci in Italia a quarant’anni dall’ approvazione dello Statuto dei lavoratori. Vivere per l’ azienda, pensare al bene dell’ azienda, votarsi all’ azienda. Tutti insieme, Come se non esistessero differenze salariali abissali tra chi dirige e “pensa” (per dirla con il meschino Orioli) e chi si sporca le mani e “fatica”. Come se fuori dalla fabbrica o dall’ azienda, ci attendesse tutti una vita fatta di SUV, vacanze in posti esotici, cibi esclusivi e appartamenti da 10.000 euro al metro quadrato. Forse Marchionne è abituato a realtà dove lavorare è già premiante. Non è l’ Italia, Marchionne. La nostra risposta è “no”.
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