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Tematiche di rilievo

Sguardi nel cervello dei giornalisti

 

tratto da: Appello al popolo

 

 

di Claudio Martini

I fatti di questi giorni suggeriscono molte riflessioni. Lo dico perché accadono cose strane, o meglio cose che possono apparire strane finché non ci si impadronisce della logica che le governa. In queste righe tenterò di enucleare questa logica.
Per farlo mi concentro su quelli che possono essere a buon diritto considerati gli eventi della settimana: la prosecuzione delle proteste in Tunisia, dirette ora contro il governo provvisorio di Fouad Mebazaà, e la "scoperta" che attorno a Berlusconi gravita un gran numero di… ragazze.

Quel che ora mi preme non sono i fatti in sé, ma la loro trattazione da parte dei media imperialisti. Uso questo termine oramai desueto per delimitare una precisa categoria, quella delle grandi imprese di comunicazione nelle mani, in ogni paese, dei potentati economici locali. Queste imprese (in primo luogo giornali) hanno la tendenza, da anni,  ad assomigliarsi sempre più fra loro, fino a costituire un tutto indistinguibile, o meglio uno "sciame" di agenzie mediatiche che si muove con straordinaria compattezza. Repubblica riprende gli articoli del New York Times tratti da inchieste di El Pais, mentre il Corriere pubblica un editoriale firmato da un giornalista di Le Monde che parla delle ultime rivelazioni dell'Indipendent. Questo fenomeno non è certo misterioso: si spiega ricordando che i proprietari di queste testate appartengono alla stessa classe, spesso hanno frequentato le stesse scuole, sono in grado di  parlare la stessa lingua e hanno gli stessissimi interessi in campo finanziario, economico e financo geopolitico. Nulla di strano, quindi.

Questi grandi editori, che dominano la comunicazione del globo dalla due rive dell'Atlantico, odiano Berlusconi. Lo odiano come odiavano Craxi (come ha acutamente notato Il Tempo), e quasi per gli stessi motivi; e come contro Craxi, tentano di scaraventarlo giù dallo scranno con metodi eversivi. L'affaire Ruby, come i precedenti D'Addario e Noemi, si risolvono in queste semplici considerazioni.
Parentesi. Da quanto scritto potrebbe sembrare che io sostenga la tesi del golpe dei giudici "rossi", esattamente come gli esponenti del PdL, neanche copiassi il copione di Cicchitto. Errore: io sono convinto che qualcosa di simile ad un colpo di stato "indolore" abbai eliminato la cricca del CAF nel '92-93, e che si tenti di ripetere l'operazione oggi con Berlusconi, ma non credo che gli esecutori materiali del complotto siano i giudici; tutt'altro, sono i giornalisti.
Non sono le inchieste a far cadere i governi, non sono i PM a sconvolgere il quadro politico con secondi fini golpisti: sono i media, con la loro insostituibile facoltà di creare "rumore di fondo" e scatenare un gran baccano a interferire con il processo democratico. Un accusa, e persino un arresto, che non sollevi l'adeguato clamore mediatico, non servirebbero a nulla. Ricordate Salvatore Cuffaro? Durante il processo per favoreggiamento aggravato il presidente della regione Sicilia era stato oggetto di una vera e propria Crociata della Legalità. Bene, ieri il soggetto è stato recluso nelle patrie galere. La notizia è passata in secondo piano. Oppure: sia Steno sia Antonio Marcegaglia, noti magnati dell'acciaio, sono entrambi stati condannati, in circostanze diverse, per episodi di corruzione. Ciò ha forse impedito a Emma Marcegaglia di diventare presidente di Confindustria? Per nulla: i giudici hanno esercitato senza sconti l'azione penale, ma è mancata la gogna mediatica. Capito chi fa il golpe? Fine Parentesi.
In questi giorni di furore anti-berlusconiano, con inviati stampa e tv in giro per l'Italia per scovare qualcuno (qualcuna)  che rivelasse dettagli scabrosi sulle esuberanze di Berlusconi, ai più sarà sfuggito un dettaglio, l'incontro
tra il nostro premier e quello della Somalia. Nello sfortunato paese africano, strategico come pochi, la guerra civile tra le forza nazionaliste e antimperialiste (qui nella forma dell'islam politico) e i commessi del sistema coloniale ha raggiunto una fase di compromesso, con la formazione di un governo di coalizione: con il suo incontro Berlusconi ha voluto chiarire da che parte stia il nostro paese. Ovviamente, da quella sbagliata.
Questa era un notizia. Si vuole inchiodare il capo del governo alle sue terribili responsabilità? Si parli del suo sostegno agli stupratori della Somalia, un intero paese trasformato dagli interessi occidentali in un campo di battaglia e
in un immondezzaio. Si imbastisca su temi come questi una seria campagna stampa, e vediamo se davvero gli italiani sono così innamorati dell'anziano brianzolo!
Ma i media imperialisti non possono fare nulla del genere. La politica seguita dall'Italia in Somalia, tanto per stare al caso, è quella dettata dalla Nato. In che modo i giornali di De Benedetti o della Fiat potrebbero attaccare Berlusconi con veri argomenti, come la sua scandalosa complicità nell'occupazione dell'Afghanistan o nei ricatti agli operia di Mirafiori e Pomigliano, quando quell'occupazione, e quei ricatti, sono stati voluti, difesi e perorati proprio da quei giornali? Noi viviamo nella paradossale condizione per cui un uomo dagli infiniti lati negativi come il nostro premier viene criticato esclusivamente per i suoi pochissimi lati positivi. In questo il non plus ultra lo ha raggiunto il raffinato Bersani, quando ha pubblicamente paventato che "dopo Berlusconi venga su un Chavez". Chiaro? Il problema, in Berlusconi, sono i suoi punti in comune con Chavez. Tanto basta perché ci sia l'assedio dei media imperialisti.
E veniamo alla Tunisia. Anche qui, non parlo di quanto è accaduto in sè, ma della sua trattazione mediatica, trattazione che riserva notevoli sorprese.
Ben Alì era senz'altro un dittatore, un uomo "messo lì" nel lontano '87 dai servizi segreti francesi e italiani (i quali hanno mostrato somma ingratitudine negandogli asilo nel momento del bisogno), un rappresentante autorevole del declino del socialismo arabo al di fuori dei confini dell'Iraq (dove non c'è mai stata alcuna decadenza, e lo si è dovuto distruggere con un invasione militare). Curiosamente il fato ha sovrapposto le vicissitudini di due presidenti, Ben Ali e Berlusconi, entrambi debitori delle rispettive fortune alo stesso personaggio, Bettino Craxi.
Dicevo che il presidente tunisino era senz'altro un dittatore, ma un dittatore amico dell'occidente. In teoria i custodi e i padroni dell'occidente, le oligarchie proprietarie dei mezzi di comunicazione di massa, avrebbero dovuto difendere il loro uomo, e diffamare le masse esasperate dando loro una connotazione quanto più possibile negativa agli occhi dell'opinione pubblica che conta, cioè quella bianca e cristiana.
I media imperialisti non l'hanno fatto, e, solidali con i governi dei rispettivi paesi, hanno "lasciato andare" (to drop down), come ai suoi tempi accadde al tiranno iraniano, Reza Pahlevi, il tiranno arabo; ma sono andati oltre. Hanno creato un clima di solidarietà e simpatia con i rivoltosi, e hanno trovato un nome carino alla rivoluzione (ora "dei gelsomini"). Chi sfogliasse Repubblica di qualche giorno fa, troverebbe una bella cartina dei regimi dispotici del nord africa, con l'indicazione, che pareva un auspicio, che il germe della rivolta potrebbe contagiare le masse di tutto il martoriato mondo arabo.
Ora questo appello a rovesciare il dittatore è pienamente comprensibile, nella logica che guida i media imperialisti, per quanto riguarda la Libia di Gheddafi; ma l'Egitto di Mubarak? Il vecchio necrofago ha trasformato il suo paese in un vero avamposto dell'occidente, e in una garanzia della sicurezza di Israele. Coem possono augurarsi che cada travolto da un insurrezione popolare?
Avanzo un ipotesi. L'habitus mentale del giornalista medio delle agenzie di comunicazione occidentali si è formato, pressappoco, negli anni '80. La fine di quel decennio e l'inizio del successivo sono il momento storico delle rivolte anti-comuniste (Solidarnosc in Polonia, caduta del muro di Berlino, fine dei regimi filosovietici in Etiopia e Yemen, caduta di Ceusescu in Romania, tentata insurrezione a Pechino, Eltsin respinge il colpo di stato, ecc ecc). Dal punto di vista del nostro amico che lavora nei media  imperialisti, la sollevazione popolare al di fuori dei confini dell'occidente è democratica per definizione. E così, per riflesso condizionato, si finisce per porre in buona luce, mettendole nello stesso calderone, non solo le "rivoluzioni colorate" chiare e conclamate. come quella in Serbia nel 2000, in Georgia nel 2003, in Ucraina nel 2004, in Libano nel 2005 eccetera, ma anche eventi eventi che non hanno alcun legame fra loro, come le manifestazioni di Teheran nel 2009, quelle a Bangkok nello stesso anno fino alle sedizioni in atto in questi giorni a Tirana.
Il caso tunisino rientra in questa tipologia: il giornalista vede una sollevazione popolare in un paese non-occidentale, il cui governo è per definizione non democratico. L'atteggiamento culturale del ceto colto e semi-colto in Europa e negli USA prevede che, al di fuori dell'occidente, Terra delle Libertà, non esistano governi democratici: solo dittature di bruti: nel momento in cui l'esasperazione popolare pone fine al potere di questi bruti, anche se questi bruti erano fidi guardiani dell'ordine neo-coloniale, i media occidentali non riescono ad assumere correttamente le linee guida della convenienza geopolitica e vanno a sbattere nella solidarietà con i rivoltosi.
Questa impostazione, che definirei quasi istintiva, è il riflesso di un altra convinzione, che ha del metafisico: se i governi fuori dell'occidente sono anti-democratici, quelli dei paesi dell'occidente sono per forza democratici, ragion per cui chi li contesta senza rispettare, non dico la legalità ma persino il galateo, è necessariamente un matto o un estremista. Come facevo notare parlando dei fatti del 14 dicembre a Roma, le proteste violente, le proteste vere non sono accettate all'interno della metropoli imperialista, e ciò che è eroico a Tunisi è scandaloso a Milano. Logicamente questa regola vale anche per le emanazioni dei governi occidentali-per-forza-democratici, come ad esempio le truppe in missione di pace, per cui chi si azzarda a combatterle con il trascurabile fine di liberare la propria Patria è un orribile terrorista.
Siamo perciò al paradosso: quando la resistenza irachena, alfiere della libertà e della dignità araba,  attacca le istituzioni dell'occupante dei suoi collaborazionisti, commette crimini inaccettabili, meritevoli di tremenda punizione; quando il popolo egiziano, desideroso di quella stessa libertà e di quella stessa dignità, scenderà in piazza per conquistarla, avrà tutto il plauso di chi finora li ha condannati alla miseria e all'oppressione.

2 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Sei un po' tanto estremista, sai? Non sarebbe meglio denunciare le ingiustizie anche le più piccole, sempre e comunque, evitando di schierarsi con chi ricorre a violenza non giustificata? Troppe zone d'ombra: ce lo insegna la storia. A mio avviso occorre essere pacifisti ad oltranza.

Nicole ha detto...

sono d'accordo in parte con te...io vedo media schierati totalmente a destra o a sinistra...nessuno che scriva qualcosa di simile alla verità. scusami ma sono pessimista molto sul fronte politico, media e etc etc.
E non sono d'accordo nemmeno con Maini, ma non perché amo la guerra...Ma non conosco rivoluzioni che hanno cambiato il corso della storia in modo pacifico. Ci provarono solo due persone al mondo e non.
E' cambiato qualcosa? No!

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